La nostra parte legata alla spontaneità, alle emozioni, al divertimento e ai ricordi è il bambino che è in noi. Crescendo si perde di vista.
Lui però, continua a farsi sentire, magari con ansia, paura, sensi di colpa o insoddisfazione, ma noi, non riusciamo a capire come smettere di provare queste sensazioni
spiacevoli.
Leggendo questo articolo comprenderai:
Quando si comincia ad ignorare il bambino interiore.
Cosa succede da adulti
Cosa miglioriamo quando si contatta il bambino che è in te.
Come si può parlare con il bambino interiore
Contenuto extra -> Metti in pratica la ricetta della Dardiz: scrivi al tuo bambino!
Quando si comincia ad ignorare il bambino interiore.
Dicono che quando hai un figlio si rivive la propria infanzia. Forse, a chi è genitore, è già capitato di intravvedere il proprio
bambino interiore guardando il proprio figlio. L’occasione, in questi casi, sta nel fatto di scorgere quella parte di noi e accoglierla,
comprenderla, prendendocene cura.
Perché è un lato che non scompare, ma sopprime le sue manifestazioni naturali, continuando a far sentire i suoi bisogni in
altri modi, che costantemente ignoriamo.
Ci viene proprio insegnato a non lasciarlo libero di esprimersi, con frasi tipo: “sei un ometto, non piangere” oppure, “le brave signorine
stanno sedute composte”, oppure, “sei grande ormai, non fare i capricci”.
Quante volte le abbiamo sentite?
Il tema in questione non è l’educazione, ma il modo in cui la si trasmette. Con buone intenzioni si va a mettere pian piano a tacere quella parte che invece andrebbe vissuta, per poter essere degli
adulti in equilibrio.
Il bambino farebbe qualsiasi cosa per sentirsi amato dagli adulti e così obbedisce, e tace, rimanendo intrappolato nelle
ingiunzioni ricevute.
Cosa succede da adulti.
Crescendo, ci alleniamo a non guardare quel bambino interiore che continua ad avere i suoi bisogni, esprimendoli in forme non sempre a noi chiare, come rabbia ingiustificata, ansia, frustrazione.
Magari l’adulto di oggi ha tutto: un lavoro, una casa, una famiglia, ma sente che qualcosa manca e non capisce cos’è, proprio perché non è là fuori, nel mondo esterno la mancanza, ma dentro di sé.
Non sta ascoltando quel bambino!
Cosa miglioriamo quando si contatta il bambino che è in te.
Ho parlato spesso alla bambina che sono stata e mi sento di dire che è stata un’opportunità. È un’esperienza che ti riconnette con qualcosa che ancora è vivo in
te, che ha una voce e cerca sempre di farsi sentire.
Per questo è importante prestare attenzione a quello che ha da dire. Quando abbiamo degli scatti di rabbia, o ci rattristiamo per motivi che capiamo solo noi, o quando proviamo sconforto e l’unica cosa di cui avremmo bisogno è un abbraccio: in quei momenti il bambino che è in te ti sta parlando.
Ascoltandolo ci riconnettiamo con noi stessi e sviluppiamo la nostra intelligenza emotiva, per migliorare le relazioni e la stabilità nella gestione delle emozioni.
Prendendo coscienza dei suoi bisogni, possiamo anche soddisfarli autonomamente, smettendo di andare in giro a pretendere che qualcun’ altro li soddisfi e continuando, di conseguenza, a sentirci
frustrati.
I bisogni del bambino interiore non li può risolvere nessun altro se non te stesso, è per questo che, se pretendiamo che siano gli altri a prendersene cura, rimarremo insoddisfatti.
Attivando questo processo riacquistiamo stabilità, sicurezza, autonomia e questa nuova versione di noi viene percepita anche all’esterno.
Di modi per accontentarlo ce ne sono molti, ma prima di tutto bisogna volerlo contattare.
Come si può parlare con il bambino interiore?
Una tecnica è “la lettera da non spedire mai”, usata nella scrittura creativa.
È una semplice lettera, che scrivi a quel bambino che ogni tanto ti chiede di essere visto, spiegando i motivi per cui non lo ascolti, chiedendo di cosa ha bisogno, e soprattutto, scusandoti per averlo
trascurato.
È molto efficace quando si fa in un posto tranquillo e indisturbato, guardando la propria foto da piccoli e prendendosi il tempo che serve.
La scrittura fluida, senza correzioni né attenzione alla forma, permette di entrare nella dimensione profonda di noi. Con questa tecnica possiamo liberarci e dire quello che solitamente non possiamo dire, perché noi adulti, non possiamo più essere bambini.
Peccato che una parte di noi lo sia ancora. Basta scegliere se ridarle vita o lasciare che quei bisogni, desideri, voglia di divertirsi soffochino, non senza conseguenze.
Durante i miei percorsi guidati ho spesso incontrato questi bambini che, timidi, alzavano la mano per dire la loro o scoppiavano a piangere in cerca di ascolto. Quando succede mi accorgo che la
connessione sta avvenendo e mi sento grata per la fiducia che il cliente ha riposto nel suo percorso.
Ci accorgiamo che qualcosa sta cambiando, la connessione con il vero sé ha inizio.
Contenuto extra ->Metti in pratica la ricetta della Dardiz: scrivi al tuo bambino!
Con una foto di te da bambino, mettiti in un posto tranquillo e isolato, prendi carta e penna e fatti guidare dalle domande.
Più cose scrivi, meglio è per te, perché ti darai l’opportunità di connetterti e chiarire le idee.
Fai un respiro profondo guardando la tua immagine e , quando te la senti, inizia a scrivere.
Cosa porvi guardando quella foto?
Cosa prova secondo te quel bambino?
Cosa potrebbe farlo stare bene?
Cosa puoi fare tu per farlo stare bene?
Quando inizierai a farlo?
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