« A dire la verità, inconsciamente sentivo che c’era qualcosa per cui dovevo rientrare. Quando tornai alla normalità, mi resi conto che dovevo ancora iniziare. Aveva ragione quella voce, quando mi disse “non hai ancora finito”»

A parlare è Giulia S. che racconta dell’esperienza vissuta 9 anni fa e che ha stravolto il suo modo di vivere la vita, a tal punto da farle dire di essere nata due volte: una nel 1981 e una il 2012.

Tutto in meno di due minuti e lo 0,01%

Giulia è morta per un minuto e mezzo. Ha vissuto quella che viene chiamata “esperienza premorte”.

Tutto avvenne nel giro di qualche ora.

A seguito di un’emorragia fu portata d’urgenza alla clinica dalla quale era seguita, al reparto di pronto soccorso. Suo marito era al volante mentre suo padre la attendeva sul posto. Arrivata fu subito consegnata agli operatori e le sue ultime parole furono: “sto tanto male”.

Poi perse conoscenza, era in fin di vita.

Fu portata subito in sala operatoria.

Alla complicazione che la portò ad avere quell’emorragia, solo lo 0,01% delle donne sopravvivono dell’1% che sviluppano quel tipo di conseguenza dopo il parto.

Prima fase: “sono qui!”

Giuli descrive così il momento in cui iniziò la sua esperienza premorte:

«Ebbi la netta sensazione di vedere me stessa da fuori: ricordo i dettagli della sala operatoria e la posizione in cui mi avevano messa.»

Lei si vedeva dall’alto, così come molti raccontano e così come si vede nei film.

«Pensavo di essere cosciente. Vedevo la mia cuffia in testa , le due infermiere, la mia anestesista, la ginecologa e la sua assistente chirurgo, il medico di turno che mi teneva la testa.

Li sentivo parlare delle difficoltà e dissero che se non avessi collaborato, in 5 minuti sarei morta, vedevo la mia ginecologa che sudava, che diceva “vi prego, fate il possibile”.

Io rispondevo “ma io sto collaborando, sono qui!”; in realtà vedevo una morta sul lettino.”»

Giulia racconta di come il dolore fisico fosse assente, mentre si accorgeva pian piano di non essere nel suo corpo e continuava ad osservare dall’alto ciò che accadeva.

«Mi vedevo passare gli oggetti attraverso. Vedevo che mi intubavano, che mi tagliavano con il bisturi. Ricordo il medico di turno che mi accarezzava i capelli. Il giorno dopo passò a farmi visita e lo ringraziai. Lui mi chiese perché e gli spiegai la mia gratitudine per avermi tenuto ed accarezzato la testa.»

Il medico però sapeva che non era possibile che una paziente in quello stato si ricordasse quel particolare e le chiese come facesse a saperlo. Giulia lì per lì rimase shoccata.

Ma la sua esperienza non fu solo quella di una visione dall’alto.

Seconda fase: il caldo colore pacifico

All’improvviso si sentì attratta, come da una calamita, in un vortice.

Non vedeva né udiva più niente.

Sentiva solo un’attrazione verso una luce, che però era invisibile agli occhi, non è come un flash, non dà fastidio.

«Ci stai benissimo in quella luce, ti senti avvolto in un calore, in un colore che è pacifico. Era diversa dalla sensazione che si provano con i cinque sensi che siamo abituati ad usare.

L’attrazione fu potentissima e mi sentii parte di tutto, della materia: potevo essere la luna, il sole, le montagne, mi sentivo in pace con il resto dell’universo.

Non avevo nessuno intorno, ma avevo la consapevolezza di non essere sola.

Mi sentivo libera da tutto, e avevo tutto! La migliore delle condizioni desiderabili!

Così Giulia mi descrive la seconda fase della sua esperienza premorte, una sensazione che , dice, ricerca spesso, milioni di volte.

Prova a riprodurre quella sensazione da quando è ri-nata in situazioni particolari della vita, quelle più stressanti. Ma giunge sempre alla consapevolezza che rivivere quel senso di libertà e di pace non è possibile. Non si può perché, ipotizza, qui entrano in gioco le nostre emozioni, il nostro vissuto “terreno”.

E poi continua:

«Lì non sei una persona, sei tutto e niente, però ci stavo benissimo. Non desideravo altro.

É stato un passaggio tra il sentire, vedere me stessa, ed essere attratta da questa altra dimensione dove il tempo, lo spazio, i colori, i profumi, non esistono più. Potevano essere 100 anni come pochi minuti.

Sono stata senza vita 1 minuto e mezzo. A me sembrava l’eternità.

Ad un certo punto ho sentito una voce maschile che non era una voce famigliare e la sentivo in lontananza. Avvicinandosi, continuava a ripetermi “devi tornare” fino a sentirla vicina, a fianco a me.

Ad un certo punto la sensazione fu come se quella voce entrasse dentro di me, ripetendomi “devi tornare”.

Poi, allontanandosi mi disse :“non hai ancora finito, non puoi restare qui”.

Ho ancora i brividi.»

A questo punto il racconto si prende una pausa; qualche secondo, quasi a sottolineare il ricordo della sensazione provata in quel momento: dolore e delusione.

Dacché si sentiva fluttuare avvertì un’immobilità. Non voleva andare via, nonostante la voce continuasse ad esortarla a tornare indietro.

Ad un certo punto sentì una spinta. Di lì in poi non ricorda più nulla, fintanto che non si risvegliò sul letto di terapia intensiva, dove ebbe i suoi primi momenti di consapevolezza di ciò che, in seguito, inquadrò come l’esperienza di premorte.

Oltre al medico di turno, anche l’anestesista le disse delle cose che non poteva immaginare

«Mi confessò di avere assistito ad altri episodi simili al mio. Mi disse che sapevo delle cose che erano scientificamente impossibili da portare alla coscienza, per lo stato in cui ero.

Piansi, e piangendo gli descrissi la siringa che usò, addirittura le quantità dei farmaci. Lui mi confermò tutto. Ma avevo ancora dei dubbi.

Chiesi a mio marito e a mio padre se fossero stati loro a parlarmi, ad entrare in sala operatoria e dirmi di tornare, ma no, loro non entrarono mai in sala, non si poteva entrare.»

Come si può bene immaginare, un’esperienza simile può avere un impatto molto forte sull’equilibrio di una persona. Dubbi, timori, bisogno di risposte, possono far vacillare alcune certezze. Per Giulia fu solo un periodo di passaggio.

Ebbe degli attacchi di panico dovuti alla confusione della sua coscienza: non riusciva più a capire se fosse viva o morta, soprattutto quando si addormentava. Non capiva se stesse accadendo ancora un episodio simile, se stesse per morire di nuovo o se si fosse risvegliata.

Ebbe il coraggio e la forza di farsi aiutare da degli specialisti.

Inoltre, in quel periodo l’ostetrica le faceva visita, perché la sua bambina aveva pochi giorni e aveva bisogno di un aiuto. Giulia le racconto tutto e sentì la risposta che per lei fu la svolta.

«Rovescia il significato, vedi la cosa non come un “sono quasi morta” ma come un “sono rinata!”.»

Si soffre solo da vivi

«Piano piano ritrovai l’equilibrio, cercai altre persone con la stessa esperienza alle spalle e tutti mi dissero che la sensazione è quella di non voler tornare. Quando sei là, non hai parenti, non conosci nessuno ma ti senti abbracciata da milioni di persone anche se le persone non esistono, è sentimento puro, incondizionato.

Sembra una cosa egoistica, dalla parte di chi rimane e mi sono sentita in colpa, avevo tanto da lasciare, un marito, una neonata, una famiglia. Ma andando in profondità, guardando la cosa da un’altro punto di vista, è naturale che io avessi voluto andare, perché tutto ciò che è qui, là non esiste più.»

In seguito Giulia capì anche il senso del suo ritorno, dell’incompiutezza del suo cammino qui in questa vita. Cambiò il suo approccio alla vita: prima viveva una vita molto condizionata, piena di auto-giudizi severi, e l’essere tornata significava il poter vivere in modo diverso. Oggi ha la consapevolezza che non è qui per caso.

«Vivendo delle vite ordinarie, si ha la sensazione di non avere un vero senso; ci si ripete “sono uno dei tanti!”.

Invece non è così, anche se non siamo Presidenti degli Stati Uniti o personaggi famosi, abbiamo delle missioni forse anche più rilevanti.

La consapevolezza è quella che sono tornata per compiere qualcosa di importante

Inoltre,  fu di sostegno ad un suo caro, per una perdita molto sentita. 

Grazie alla sua esperienza potè rassicurare in merito alla serenità del passaggio dei suoi cari dalla vita alla morte.

Non è dunque solo un detto quello del “passare a miglior vita”.

«Il timore per chi resta è che la morte sia dolorosa. La si teme perché si ha paura di soffrire. Ma si soffre solo da vivi! Il dolore fisico che ho provato io era lancinante, ma poi, in quel minuto e mezzo, stavo bene, di un bene che non si può descrivere!

Nel momento in cui vai, gran parte di quello che dovevi fare l’hai fatto. Chi resta è perfettamente in grado di andare da solo, anche se a volte non sembra essere così.

La mia resistenza a tornare qui è stata per la sensazione di assoluta tranquillità che non volevo abbandonare ma inconsciamente sentivo che dovevo rientrare.»

Come può esser d’aiuto questa esperienza, a chi rimane?

«Può rasserenare chi vive una malattia del famigliare: la morte non è dolorosa, né è graduale: nel momento in cui si va, si è liberi dal corpo e non c’è più dolore.

Se auguri a qualcuno che sta soffrendo, per una malattia per esempio, che tutto ciò termini con la morte, non gli stai augurando niente di male, questo ci tengo a dirlo!

Ciò che si trova non si sperimenterà mai nella propria vita, pur realizzando tutti i propri desideri.

Parlando di chi se ne va invece, non è che non ti interessa più ciò che lasci qui, ma semplicemente è un’altra cosa, e sapere questo può aiutare a gestire a rabbia.

Sei in “un’altra dimensione”, che non ha nulla di riconducibile a ciò che viviamo quotidianamente. Non hai nessuno e hai tutti. Questo è quello che dico sempre.

Chi resta rimane intrappolato nel bisogno di avere quella persona ancora accanto nella vita “terrena”. Sì, chi resta ha bisogno, ma chi va no, non ha più bisogno di noi! Il percorso è compiuto e chi rimane deve accettare che può affrontare il resto della strada da solo.

Un concetto difficile da digerire, soprattutto quando il lutto è recente»

Il racconto che Giulia ci regala, ci dice che la rabbia e i sensi di colpa possono essere gestiti.

Se pensiamo che la persona se ne è andata perché qui aveva concluso, che è diventata parte di un’altra dimensione in cui i sentimenti di rancore, possessione, affetto, egoismo come li conosciamo qui, non esistono; se sappiamo che al di là troveranno un benessere che con parole nostre non si può descrivere, allora possiamo facilitare la cura del dolore dell’anima causato dalla perdita, possiamo scaricarci dalla colpa di aver desiderato che il corpo smettesse di stare male, possiamo fare un passo indietro, e preoccuparci, intanto, di vivere al 100% il tempo che abbiamo qui, ora.

Giulia conclude così:

«Il bello della mia vita è arrivato dopo tutto questo, nonostante in questi 10 anni la vita mi abbia portata ad affrontare situazioni difficili e lutti.

Aveva un senso tornare indietro, perché dovevo ancora iniziare a vivere sia il dolore che i piaceri della vita in maniera profonda. Vivere una vita vera che ancora dovevo vivere. Per questo non sono morta.»

Grazie Giulia per la tua testimonianza.

 

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Enjoy your day e sii yourself.

 

 

 

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